Storia ed evoluzione del Martini

Il Martini più che un drink è un’icona di un certo stile di vita, ma da dove e quando nasce? Come per altri iconici cocktail non esiste un’origine chiara, o meglio universalmente riconosciuta per il Martini, ma molti si trovano sostanzialmente d’accordo sul fatto che sia un discendente diretto del Manhattan, noto aperitivo a base di whisky.

Il suo nome sarebbe quello di un barista italiano, che lavorava in USA, ma anche su questo punto non tutti concordano. C’è chi sostiene che il Martini nasca il California nel 1870, quel che è certo è che esisteva già verso la fine dell’Ottocento e che all’epoca la sua miscelazione, oltre al Vermouth, prevedeva il bitter il maraschino e altri ingredienti che oggi non vengono più utilizzati, per prepararlo.

Il Cocktail Martini anche se può sembrare strano da dire, ancora oggi non ha una ricetta precisa, o meglio codificata nei dettagli, senza dubbio ci sono degli ingredienti che vanno obbligatoriamente usati, ma le loro dosi e quindi il bilanciamento stesso del drink, che può risultare più o meno dolce o acido, sono lasciate al barman o alle richieste del cliente stesso.

Questo cocktail esiste come detto dalla fine dell’Ottocento e quasi inevitabilmente si è modificato o se si preferisce evoluto non poco, nel corso del tempo, seguendo fondamentalmente quella che è stata l’evoluzione del gusto e di conseguenza delle richieste della clientela.

Spesso si può essere portati a pensare che un drink cambi, anche di parecchio, non solo nel bilanciamento degli ingredienti, ma anche nella scelta di quest’ultimi, con ricette spesso del tutto stravolte, per l’estro o semplicemente la voglia di sperimentare dei baristi, ma in realtà, molto più spesso sono proprio i consumatori, con le loro richieste a spingere in una direzione piuttosto che verso un’altra.

Il Martini Cocktail nel corso del tempo ha perso per strada ingredienti come il bitter, il gum syrup, il curacao e il maraschino, rintracciabili in vecchie ricette di fine Ottocento e inizi Novecento, ma ha mantenuto Gin e Vermouth, anche se con dosaggi diversi rispetto al passato. Già negli anni Trenta esistevano almeno tre diverse versioni del drink: Dry, Sweet e Medium.

Nonostante il Medium fosse considerato il più equilibrato, tanto da essere anche definito “Perfect”, alla fine è stata la variante Dry ad imporsi e da quella discendono i cocktail Martini serviti ancora oggi. In sostanza, se oggi si chiede ad un barman un Martini Cocktail ci verrà servito un Dry Martini.

Anche di Martini Dry, giusto per complicare ulteriormente le cose, esistono comunque più versioni, che si differenziano per essere più o meno secche. L’In&Out, l’Half&Half o il Reverse, ne sono alcuni noti esempi, dove si va sempre a giocare con le proporzioni tra gin e vermouth.

Più che un comune cocktail il Martini è pertanto da considerare come un modo, altamente personale e personalizzabile, proprio per gustare gin e vermouth in abbinamento.

Tra le tante varianti del Martini Cocktail, va ricordato quello alla Hemingway, con proporzioni di Gin e Vermouth 15:1. Un grande classico è poi il Vodka Martini, preparato miscelando 5,5 cl di Vodka e 1,5 cl di Vermouth Dry.

Ci sono poi il Knickbrocker Martini, una variazione a base di Tanqueray Ten, Noilly Prat Dry e Rouge, il Gibson Martini, a base di Gin, Vermouth Dry ed erba cipollina e il Dirty Martini, preparato con Gin (o Vodka) e salamoia d’olive.

Il fatto che la ricetta per certi versi sia “aperta” o meglio che si possa prestare a numerose varianti e interpretazioni è come ovvio molto stimolante per la fantasia dei barman e i risultati sono evidenti, al bancone del bar.